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suo polso era irregolare, la sua pelle asciutta, intensa la sua sete. A questo periodo ne succedette in breve un altro di calore; gli si animò il viso, gli si arrossò la pelle, i polsi gli si accelerarono; poi apparve un sudore copioso, in seguito al quale la febbre sembro scemare. L’accesso aveva durato cinque ore circa.

Gedeone Spilett non aveva lasciato Harbert, il quale era preso da febbre intermittente; non v’era dubbio, febbre che bisognava ad ogni costo troncare prima che divenisse più grave.

— E per troncarla occorre un febbrifugo.

— Un febbrifugo? rispose l’ingegnere; non abbiamo nè quinquina, nè solfato di chinino.

— È vero, disse Gedeone Spilett, ma vi sono dei salici sulle sponde del lago, e la corteccia dei salici può sostituire talvolta il chinino.

— Proviamo dunque senza perder tempo.

Infatti la corteccia del salice è considerata come un succedaneo della quinquina, e così pure il castano d’India, l’agrifoglio, la serpentaria, ecc.

Bisognava evidentemente esperimentare questa SOstanza, quantunque non valesse la quinquina, ed adoperarla allo stato naturale, perchè mancavano i mezzi per estrarne l’alcaloide, vale a dire la salicina.

Cyrus Smith andò egli medesimo a recidere sul tronco d’una specie di salice nero alcune corteccie, le portò al Palazzo di Granito, e le ridusse in polvere, che fu somministrata la sera medesima ad Harbert.

Passò la notte senza gravi accidenti. Harbert Ebbe un po’ di delirio, ma la febbre non riapparve nella notte e nemmeno il giorno dopo.

Tornò la speranza a Pencroff. Gedeone Spilett non diceva nulla. Poteva darsi che le intermittenze non fossero quotidiane, vale a dire che la febbre fosse terzana e tornasse al domani, e perciò il nuovo giorno fu aspettato colla massima ansietà.

Si poteva notare, d’altra parte, che durante il pe-