Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo II, Milano, Guigoni, 1890.pdf/237

avrebbe di troppo di tutte le sue forze, e nessuno in quel momento poteva lasciare il Palazzo di Granito.

L’ingegnere e Nab giunsero sull’altipiano. Era una desolazione. I campi erano stati calpestati; le spighe della messe imminente giacevano al suolo. Le altre piantagioni non avevano sofferto meno, e l’orticello era sottosopra. Per fortuna, al Palazzo di Granito si avevano provviste di semi che permettevano di riparare i danni.

Quanto al mulino, agli edificî del cortile ed alla stalla degli onaggas, il fuoco aveva distrutto ogni cosa. Alcuni animali spaventati vagavano attraverso l’altipiano. I volatili, che durante l’incendio s’erano rifugiati sull’acqua del lago, tornavano già alle loro consuete abitazioni e diguazzavano sulle rive. Colà tutto era da rifare.

Il volto di Cyrus Smith, più pallido dell’usato, di notava una collera interna che egli tratteneva a stento. Pure l’ingegnere non proferì parola. Guardò un’ultima volta i campi devastati, il fumo che sorgeva ancora dalle rovine, poi tornò al Palazzo di Granito.

I giorni che seguirono furono i più tristi che i coloni avessero passati nell’isola. La debolezza di Harbert cresceva a vista d’occhio. Sembrava che un’altra malattia, conseguenza del profondo turbamento fisiologico che aveva subíto, minacciasse di dichiararsi, e Gedeone Spilett temeva un peggioramento che egli si sentiva impotente a combattere. Infatti Harbert stava in una specie di sopore quasi continuo, e cominciarono a manifestarsi alcuni sintomi di delirio. Tisane rinfrescanti — ecco il solo rimedio che fosse a disposizione dei coloni. La febbre non era ancora violenta, ma presto parve volesse manifestarsi con accessi regolari.

Gedeone Spilett se ne avvide il 6 dicembre. Il povero fanciullo, cui si erano fatti pallidissimi il naso, le dita e le orecchie, fu prima colto da tremiti. Il