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Infatti era da temere che qualche cosa di grave fosse accaduto al ricinto. Senza dubbio Ayrton aveva potuto mandare un dispaccio, che non era giunto, e era questo che dovesse inquietare i compagni, ma – cosa più inesplicabile — Ayrton, il quale aveva promesso di tornare la sera della vigilia, non era non ricomparso. Infatti, non senza motivo era stata interrotta la comunicazione fra il ricinto ed il Palazzo di Granito. E chi altri mai, fuorchè i deportati, avrebbe avuto interesse a ciò?

I coloni correvano dunque col cuore stretto dalla commozione, perocchè si erano affezionati al loro nuovo compagno e temevano di vederlo colpito dalla mano di coloro di cui già era stato il capo.

Presto giunsero alla via che metteva al rivo Rosso.

Avevano rallentato il passo per non essere ansanti al momento in cui forse dovevano impegnare una lotta. I fucili erano armati, e ciascuno sorvegliava una parte della foresta. Top faceva intendere sordi brontolii che non erano di buon augurio. Finalmente la palizzata apparve attraverso gli alberi.

Non vi si vedeva traccia alcuna di danno, la porta era chiusa secondo il solito, un silenzio profondo regnava nel ricinto. Non si udivano i belati consueti dei mufloni, nè la voce di Ayrton.

— Entriamo! disse Cyrus Smith.

E l’ingegnere si fece innanzi, mentre i compagni, appostati a venti passi da lui, erano pronti a far fuoco.

Cyrus Smith levò la nottola interna della porta e stava per spingere uno dei battenti, quando Top latrò forte. S’udì uno sparo sopra la palizzata, e un grido di dolore vi rispose.

Harbert, colpito da una palla, giaceva a terra.