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Ora, per sollevare quel livello, bastava porre delle sbarre ai due canali aperti nel lago, coi quali si alimentava il rivo Glicerina e il rivo della Gran Cascata.

I coloni furono invitati a tale lavoro, e le due barricate, che non eccedevano sette od otto piedi di larghezza e tre d’altezza, furono costrutte prestissimo per mezzo di macigni ben cementati.

A lavoro finito, era impossibile supporre che nella punta del lago esistesse un condotto sotterraneo per cui sboccasse una volta il soverchio delle acque del lago. S’intende che il canaluzzo il quale serviva ad alimentare il serbatojo, e alla manovra dell’ascensore, era stato mantenuto; l’acqua non doveva così mancare in nessun caso. Risollevato l’ascensore, quella sicura e comoda dimora sfidava ogni sorpresa.

Il lavoro era stato compiuto rapidamente, e Pencroff, Gedeone Spilett ed Harbert trovarono tempo di spingersi fino al porto Pallone. Il marinajo era desiderosissimo di sapere se il picciol seno, in fondo al quale era ancorato il Bonaventura, fosse stato visitato dai deportati.

— Appunto, fec’egli osservare, codesti gentiluomini hanno preso terra sulla costa meridionale, e se hanno seguito il litorale è a temersi che abbiano scoperto il piccolo porto; in questo caso non darei un quattrino del nostro Bonaventura.

Le apprensioni di Pencroff non erano senza fondamento, ed una visita al porto Pallone parve opportunissima.

Il marinajo ed i suoi compagni partirono adunque nel pomeriggio del 10 novembre ben armati.

Pencroff, cacciando due palle in ogni canna del suo fucile, crollava il capo: il che non pronosticava nulla di buono per chi gli si fosse avvicinato troppo, “animale od uomo,” diceva egli.

Gedeone Spilett ed Harbert presero anch’essi il