Pagina:Verne - L'isola misteriosa, Tomo I, Milano, Guigoni, 1890.pdf/47

sembrava fertile, di gradevole aspetto e variata nei prodotti.

— È una fortuna, osservò Pencroff, e nella nostra disgrazia bisogna ringraziarne la Provvidenza.

— Dio sia lodato! rispose Harbert col cuore pieno di riconoscenza per l’autore di tutte le cose.

Per un pezzo Pencroff ed Harbert esaminarono quella regione sulla quale li aveva gettati il loro destino, ma era difficile immaginare, dopo così sommaria ispezione, che cosa serbasse loro l’avvenire.

Poi tornarono seguendo la cresta meridionale dell’altipiano di granito, disegnato da un lungo festone di roccie capricciose, che pigliavano le forme più bizzarre.

Colà vivevano alcune centinaja d’uccelli, che avevano il nido nei fori del sasso. Harbert, balzando sulle roccie, fe’ levare a volo tutta una frotta di quei volatili.

— Ah! esclamò, non sono nè gabbiani, nè mugnaj.

— E che uccelli son essi? domandò Pencroff. In fede mia, parrebbero colombi.

— E sono colombi, ma selvatici, rispose Harbert. Li riconosco alla doppia striscia nera delle loro ali, al loro cordone bianco, alle loro penne d’un azzurro cinereo. Ora, se il colombo selvatico è buono da mangiare, le sue uova devono essere eccellenti, e per poco che questi ne abbiano lasciato nel loro nido....

— Non daremo loro il tempo di schiudere tranne in forma di frittata, rispose allegramente Pencroff.

— Ma in qual recipiente farai tu la tua frittata? domandò Harbert; nel tuo cappello?

— Oibo! io non sono un mago per far questo. Ci accontenteremo adunque colle uova al guscio, fanciullo mio.

Pencroff ed il giovinetto esaminarono attentamente le cavità del granito, e vi trovarono infatti delle uova. Ne raccolsero parecchie dozzine, le collocarono nel