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— Sapremo ben obbligarli, Nab! replicava Pencroff con accento autorevole.

Disgraziatamente, quei formidabili carnivori non si trovavano nell’isola, o per lo meno fino allora non vi s’erano mostrati. Harbert, Pencroff ed il reporter lavoravano nondimeno a preparare trappole sull’altipiano di Lunga Vista e sul lembo della foresta. Secondo l’opinione del marinajo, qualunque animale roditore o carnivoro sarebbe ben ricevuto al Palazzo di Granito.

Codeste trappole erano semplicissime; fosse scavate nel suolo, con sopra un soffitto di rami ed erbe che ne nascondeva l’orifizio: in fondo un’esca il cui odore potesse attirare gli animali; null’altro. Giova pur dire che non erano state scavate a caso, ma in certi luoghi in cui le impronte più numerose indicavano frequente passeggio di quadrupedi. Tutti i giorni esse venivano visitate e tre volte vi si trovarono campioni di quelle specie di volpi che erano state viste già sulla riva destra della Grazia.

— To’, non vi sono dunque che volpi in questo paese! esclamò Pencroff, la terza volta che trasse uno di codesti animali dalla fossa in cui se ne stava rannicchiato. Animali che non servono a nulla.

— Ma sì, disse Gedeone Spilett, che servono qualche cosa.

— Ed a che cosa?

— A far delle esche per attirarne altri.

Il reporter aveva ragione, e quind’innanzi le trappole furono adescate coi cadaveri delle volpi. Il marinajo aveva pure fabbricato dei lacci con fibre di giunco, e questi lacci diedero più profitto delle trappole. Era raro che passasse giorno senza che un coniglio vi si lasciasse pigliare.

Era sempre coniglio, è vero, ma Nab sapeva variare le salse, e i convitati non pensavano a lamentarsene.

Pure, una o due volte, nella seconda settimana