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a fiotti e produsse un magico effetto, inondando la caverna, la quale, se nella sua parte sinistra non misurava più di trenta piedi d’altezza e di larghezza sopra una lunghezza di cento piedi, al contrario, alla dritta, era enorme e la sua volta s’arrotondava a più di ottanta piedi di altezza. In alcuni luoghi, pilastri di granito irregolarmente disposti ne sopportavano gli spigoli come quelli d’una navata di cattedrale appoggiata sopra una specie di stipiti laterali qui curvantisi a centina, colà elevantisi sopra spigoli ogivali, perdentesi in oscure gallerie di cui s’intra vedevano nell’ombra le capricciose arcate ornate a profusione di sporgenze che formavano come altrettanti pennacchi. Questa vôlta offriva un miscuglio pittoresco di tutto ciò che l’architettura bizantina, romana, gotica, hanno prodotto sotto la mano dell’uomo — e qui non era se non l’opera della natura! Essa sola aveva scavato quel fantastico Halambra in un masso di granito. I coloni erano stupefatti d’ammirazione. Dove essi non credevano trovare che una stretta cavità, trovavano invece una specie di misterioso palazzo, e Nab s’era sberrettato come se fosse stato in un tempio.

Grida d’ammirazione eran partite da tutte le bocche. Gli evviva andavano perdendosi d’eco in eco fino in fondo alle buje navate.

— Ah! amici miei, esclamò Cyrus Smith, quando avremo largamente illuminato l’interno di questo masso, quando avremo disposto le nostre camere, i nostri magazzini nella sua parte sinistra, ci rimarrà ancora questa caverna, di cui faremo la nostra sala di studio ed il nostro museo!

— E la chiameremo?... domandò Harbert.

— Palazzo di Granito, rispose Cyrus Smith.

E questo nome fu ancora salutato dagli evviva. In quella le torcie erano quasi interamente consumate, e siccome per ritornare indietro bisognava giungere