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8 capitolo i.

All’alba, le nuvole, già più leggiere, erano risalite nelle alte regioni del cielo. In poche ore la tromba si vuotò e si ruppe. Cessò l’uragano, rimase solo il vento, vale a dire che la velocità di traslazione degli strati atmosferici scemò della metà. Gli era ancora ciò che i marinaj chiamano una brezza da tre terzaroli, ma il quetarsi degli elementi fu tuttavia considerevole.

Verso le undici, la parte inferiore dell’aria era di molto spazzata: l’atmosfera mostrava quella limpidità umida che si vede e si sente dopo il passaggio delle grandi meteore. Pareva che l’uragano fosse andato più lungi, nell’ovest, e si fosse spento di per sè. Forse si era sciolto in zone elettriche dopo la rottura della tromba, come accade talvolta ai tifoni dell’oceano indiano. Ma intorno a quell’ora appunto si potè accertare un’altra volta che il pallone s’abbassava lentamente, con un moto continuo, negli strati inferiori dell’aria. Pareva anzi che si gonfiasse a poco a poco e che il suo invoglio si allungasse, distendendosi, passando dalla forma sferica alla forma ovoidale. Verso il mezzodì l’aerostato si librava solo a duemila piedi sopra il mare. Esso stazzava cinquantamila piedi cubi1, e grazie alla sua capacità aveva evidentemente potuto reggere un gran pezzo nell’aria, sia che fosse giunto a grandi altezze, sia che si fosse mosso seguendo una direzione orizzontale. In quella i passeggieri gettarono gli ultimi bagagli, i pochi viveri che avevano conservato, ogni cosa, perfino gli oggetti che avevano in tasca, e l’un d’essi essendosi issato sul cerchio che riuniva le corde della rete, cercò di legare saldamente l’appendice inferiore dell’areostato.

Era evidente che i passeggieri non potevano più mantenere il pallone nelle zone elevate, perchè mancava loro il gas.

  1. Circa 1700 metri cubi.