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nanni volpe. 269

via, e ai suoi interessi ch’erano in mano di questo e di quello: gli uomini che mangiavano e bevevano alle sue spalle, e se ne stavano intanto nell’aia senza far nulla, ora che mancava l’occhio del padrone; il curatolo che gli rubava certo una pezza di formaggio ogni due giorni; la porta del magazzino che ci voleva la serratura nuova, tanto che il camparo doveva averci pratica colla vecchia. La notte non sognava altro che ladri e ruberie, e si svegliava di soprassalto, col sudore della morte addosso. Una volta gli parve anche di udir rumore nella stanza accanto, e saltò dal letto in camicia, collo schioppo in mano. C’erano davvero due piedi che uscivano fuori, di sotto il tavolone, e Raffaela in sottanino che s’affannava a buttarvi roba addosso:

— Al ladro, al ladro! — si mise a gridare Nanni Volpe, frugando sotto la tavola colla canna dello schioppo.

— Non mi uccidete, chè sono sangue vostro! — balbettò Carmine rizzandosi in piedi,