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una polka, e i passi saltellanti e vigorosi di coloro che ballavano.

— Costoro si divertono; — diss’egli, — chi sa se anch’io vi potrei almeno dimenticare!...

Fece alcuni passi per entrare nella bottega di tabacchi che precede l’ignobile sala da ballo, ma non ebbe la forza di farlo. L’istinto, l’abitudine piuttosto, del giovane bene educato non gli permise di mischiarsi senza transazioni a quanto vi avea d’impuro e d’abietto in quella gentaglia, operai d’infima classe, lustrastivali, borsaiuoli, barcaiuoli e femmine di mala vita, che componevano la società di quel ballo.

— Oh! stordirmi! stordirmi!... — esclamò egli, con un accento quasi doloroso, fermo in mezzo al viale ove avea incontrato Narcisa e questa l’avea guardato.

E partì di buon passo per la strada Stesicorea; ai Quattro Cantoni entrò alla Villa di Sicilia.

Era la capitolazione del giovane di buona famiglia, che non osava ancora penetrare nella taverna per ubbriacarsi e cercava la taverna elegante. Al garzone, che gli