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serenava al sentirsi accanto l’Elena che si appoggiava al suo omero. Nè l’accusava di indifferenza, per la sua gaiezza spensierata.

— È una bambina! ella non sa nulla!... — diceva fra di sè colla generosa indulgenza delle nature vittime della propria bontà, e che cercano nella propria debolezza la spiegazione e la scusa di ogni fallo altrui.

Un giorno andò ad Altavilla all’ora dei vespri, per incontrare la mamma in chiesa.

Là, nella penombra della navata, resa più triste dal lumicino che ammiccava davanti all’altare e dalle lunghe tende violette che chiudevano le arcate, egli vide la sua vecchiarella curva sull’inginocchiatoio, e che pregava certamente il Signore anche per lui. La poveretta piangeva e rideva di gioia nel rivedere il figliuolo, e si stringeva il suo capo sul petto scarno, dinanzi agli occhi della Madonna, che è madre anche lei. Ella sembrava più grande di Cesare in quel momento. Il tramonto, scintillante sui vetri come una gloria, riempiva ancora di luce la volta della chiesa alta e sonora.