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il suo sorriso glaciale, il suo occhio distratto. Il poveretto si faceva in quattro per procurarle qualche soddisfazione col suo lavoro. Passava le notti a scrivere per portarle un regaluccio modesto, un cappellino nuovo, un braccialetto, un ventaglio, aspettando ansioso un sorriso di lei, un gesto, un cenno del capo, una parola. Colle ossa rotte dalla fatica, dal salire e scendere scale di procuratori e di avvocati, le offriva di accompagnarla al passeggio, in teatro, magari in società, ora che avevano fatto pelle nuova, e cominciavano a respirare. Ella non voleva, faceva la vittima ingenuamente, si creava delle tristezze solitarie da romanzo, provava una voluttà amara a far l’Arianna, la caduta, la disillusa, strascinando la sua noia da una stanza all’altra, agucchiando svogliatamente a dei capi di corredo piccini come se dovessero servire per la bambola, e le sembrava in tal modo di sorvegliare minutamente ogni cosa, tale e quale come donn’Anna. Costei, di tanto in tanto veniva anche lei a dare una mano, a consigliare su