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e là occhiate da matto; dava e riceveva colla stessa indifferenza spintoni da orbo, sembrava ubbriaco fradicio. Quei giovanotti come lo videro, scoppiarono a ridere fragorosamente, gridandogli dietro:

— Uh! nojoso!

Egli si fermò; ci guardò con quell’aria stralunata, e sorrise stupidamente.

— Sì, son nojoso; disse sotto la maschera una voce che senza sapere il perchè ci fece trasalire; come le tue liriche, come i tuoi drammi storici, come i tuoi quadri di genere, come il tuo spirito di buona compagnia, come le tue fiabe.

Quest’ultimo complimento era diretto a me, sebbene non avessi aperto bocca, e i miei amici avevano preso ciascuno il suo con più meno garbo, credendosi obbligati a ridere.

— Mi conosci? gli dissi.

— Lo vedi.

— Non c’è che dire hai dello spirito.

— Sì, delle volte, a tavola. Vogliamo andare a tavola?

— Ci offri da cena? domandò il conte C.***