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stretta di mano, in faccia ad un pubblico di gelosi, colla dea del santuario. Io le sedeva accanto, e la dea mi largiva parole e sorrisi. Tutt’a un tratto la vidi aggrottare il sopracciglio, da vera dea, prendere l’occhialetto, e dirigerlo bruscamente su di un palchetto di faccia — era uno di quei gesti espressivi che usano le gran dame quando non vogliono scendere alla parola — ma siccome non mi curavo di seguire il capriccio di lei, così mi contentai di guardare quel bel braccio nudo, tanto bello ch’era pudico, e si nascondeva nel guanto sino a metà. Però l’osservazione di lei era così insistente che senza volerlo seguii la direzione di quell’occhialetto, e ne vidi un altro che gli rispondeva come una pistola da duellante. La dea si stancò per la prima, e distese mollemente il braccio sul velluto del parapetto; allora anche l’altro occhialetto scomparve, e riconobbi Eva — Eva sfolgorante di tutta la sua bellezza, colle spalle e le braccia nude, i diamanti fra i capelli, i merletti sul seno, la giovinezza, il brio, l’amore negli occhi, anzi la voluttà, e il sorriso inebbriante — il sorriso che faceva luccicare come perle i suoi denti.