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andando in Pisa a visitar maestro Stagio da Pietra Santa scultore suo amicissimo, che lavorava nell’Opera del Duomo di quella città due colonne con i capitelli di marmo, tutti traforati, che mettendo in mezzo l’altar maggiore et il tabernacolo del Sagramento, doveva ciascuna di loro aver sopra il capitello un Angelo di marmo alto un braccio e tre quarti con un candeliere in mano, tolse, invitato dal detto Stagio, non avendo allora altro che fare, a far uno de’ detti Angeli, e quello, finito con tanta perfezzione con quanta si può di marmo finir perfettamente un lavoro sottile e di quella grandezza, riuscì di maniera, che più non si sarebbe potuto desiderare; perciò che mostrando l’Angelo col moto della persona, volando essersi fermo a tener quel lume, ha l’ignudo certi panni sottili intorno, che tornano tanto graziosi e rispondono tanto bene per ogni verso e per tutte le vedute, quanto più non si può esprimere. Ma avendo in farlo consumato il Tribolo, che non pensava se non alla dilettazione dell’arte, molto tempo, e non avendone dall’Operaio avuto quel pagamento che si pensava, risolutosi a non voler fare l’altro e tornato a Firenze, si riscontrò in Giovanbatista della Palla, il quale in quel tempo non pur faceva far più che potea sculture e pitture, per mandar in Francia al re Francesco Primo, ma comperava anticaglie d’ogni sorte e pitture d’ogni ragione, pur che fussino di mano di buon maestri, e giornalmente l’incassava e mandava via. E perché, quando appunto il Tribolo tornò, Giovanbatista aveva un vaso di granito antico di forma bellissima e voleva accompagnarlo, acciò servisse per una fonte di quel re, aperse l’animo suo al Tribolo e quello che dissegnava fare, onde egli messosi giù, gli fece una dea della natura che alzando un braccio tiene con le mani quel vaso che le ha in suo capo il piede, ornata il primo filare delle poppe d’alcuni putti tutti traforati e spiccati dal marmo, che tenendo nelle mani certi festoni fanno diverse attitudini bellissime; seguitando poi l’altro ordine di poppe piene di quadrupedi et i piedi fra molti e diversi pesci, restò compiuta cotale figura con tanta diligenza e con tanta perfezzione, ch’ella meritò, essendo mandata in Francia con altre cose, esser carissima a quel re e d’esser posta come cosa rara a Fontanableò. L’anno poi 1529, dandosi ordine alla guerra et all’assedio di Firenze, papa Clemente Settimo, per veder in che modo et in quai luoghi si potesse accommodare e spartir l’essercito e vedere il sito della città appunto, avendo ordinato che segretamente fosse levata la pianta di quella città, cioè di fuori a un miglio il paese tutto, con i colli, monti, fiumi, balzi, case, chiese, et altre cose, dentro le piazze e le strade et intorno le mura et i bastioni con l’altre difese, fu di tutto dato il carico a Benvenuto di Lorenzo dalla Volpaia, buon maestro d’oriuoli e quadranti e bonissimo astrologo, ma sopra tutto eccellentissimo maestro di levar piante. Il qual Benvenuto volle in sua compagnia il tribolo e con molto giudizio, perciò che il Tribolo fu quegli che mise inanzi che detta pianta si facesse, a ciò meglio si potesse considerare l’altezza de’ monti, la bassezza de’ piani e gl’altri particolari, di rilievo: il che far non fu senza molta fatica e pericolo; perché stando fuori tutta la notte a misurar le strade e segnar le misure delle braccia da luogo a luogo e misurar anche l’altezza e le cime de’ campanili e delle torri, intersegando con la bussola per tutti i versi et andando di