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un’orgia di carne e d’olio 149


— Non l’ho mai dimenticato, — rispose Karalit.

— E che io non ho avuto da te mai nessuna ricompensa.

— Allora ero un povero pescatore, padrone d’un kaiak sdruscito e d’una sola fiocina.

— Ma oggi sei capo tribù.

— È vero: domanda quindi quello che vuoi. Delle foche? Delle morse? Dei cani? Delle slitte?

— Niente affatto, poichè noi abbiamo abbondanza di viveri ed una macchina creata dal genio del male, che sfida tutti i tuoi cani.

— Ed allora? — chiese l’esquimese, imbarazzato. — Le mie fiocine ed il mio arco?

— Nemmeno, perchè anzi ho intenzione di regalarti un buon fucile da caccia, che ho già sottratto nascostamente al mio padrone. —

I piccoli occhi dell’esquimese tornarono ad illuminarsi. Un fucile a lui!... Gl’indiani canadesi che sono i nemici secolari di quei piccoli uomini del nord e che li trucidano ferocemente ritenendoli spiriti maligni, avrebbero ben dovuto guardarsi d’ora innanzi.

— Che cosa vuole da me dunque mio fratello bianco? — chiese, con voce quasi tremante.

— Una cosa semplicissima.

— Parla.

— Impedire ai miei compagni di partire.

— Perchè? — chiese Karalit, con stupore.

Dik, invece di rispondere subito, si sedette su un ammasso di pelli mettendosi fra le gambe la bottiglia di wisky sulla quale si posavano insistentemente gli occhi del capo, poi chiese:

— Sai che cosa vanno a fare quegli uomini che io conduco verso il gran nord con quella macchina?

— Non me l’hanno detto.