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68 ultime lettere d’jacopo ortis.


29 maggio, all’alba.

O illusione! perchè quando ne’ miei sogni quest’anima è un paradiso, e Teresa è al mio fianco, e mi sento sospirar su la bocca, e... perchè mi trovo poi un vuoto, un vuoto di tomba? Almen que’ beati momenti non fossero mai venuti, o non fossero fuggiti mai! Questa notte io cercava brancicando quella mano che me l’ha strappata dal seno: mi parea d’intendere da lontano un suo gemito; ma le coltri molli di pianto, i miei capelli sudati, il mio petto ansante, la fitta e muta oscurità — tutto tutto mi gridava: Infelice, tu deliri! Spaventato e languente mi sono buttato boccone sul letto abbracciando il guanciale, e cercando di tormentarmi nuovamente e d’illudermi.

Se tu mi vedessi stanco, squallido, taciturno errar su e giù per le montagne e cercar di Teresa, e temer di trovarla, sovente brontolar fra me stesso, chiamare, pregarla e rispondere alle mie voci! Arso dal sole mi caccio sotto una macchia e m’addormento o vaneggio — ahi che sovente la saluto come se la vedessi, e mi pare di stringerla e di baciarla — poi tutto svanisce, ed io tengo gli occhi inchiodati su i precipizj di qualche dirupo. Sì! conviene ch’io la finisca.

29 maggio, a sera.

Fuggir, dunque fuggire: ma dove? credimi, io mi sento malato: appena reggo questo misero corpo per potermelo strascinare sino alla villa, e confortarmi in quegli occhi divini, e bere un altro sorso di vita, forse ultimo! Ma senza di ciò vorrei più questo inferno?

Oggi l’ho salutata per andarmene a desinare; sono partito, ma non poteva scostarmi dal suo giardino: e — lo credi? la sua vista mi dà soggezione: vedendola poi scendere con sua sorella, ho tentato di tirarmi sotto una pergola e fuggirmene. La Isabellina ha gridato: Viscere mie, viscere mie, non ci avete vedute? Colpito quasi da un fulmine mi sono precipitato sopra un sedile; la ragazza mi s’è gettata al collo carezzandomi, e dicendomi all’orecchio: perchè piangi? Non so se Teresa m’abbia guardato; sparì dentro un viale. Dopo mezz’ora tornò a chiamare la ragazza che stava ancora fra le mie ginocchia, e m’accorsi che le sue pupille erano rosse di pianto: non mi parlò, ma mi ammazzò con un’occhiata, quasi volesse dirmi: Tu mi hai ridotta così misera.

2 giugno.

Ecco tutto ne’ suoi veri sembianti. Ahi! non sapeva che in me s’annidasse questa furore che m’investe, m’arde, m’annienta, eppur non mi uccide. Dov’è la natura? Dov’è la sua