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prefazione. 15

nemico mentre tuona il cannone; ma egli se ne starà rimpiattato nell'angolo più riposto della sua casa, aspettando magari che tutto sia finito per uscir fuori a godere del frutto dei generosi che versarono il proprio sangue. Il suicidio individuale se non è un peccato, il che non vogliamo affermare, non è certamente fecondo di utili ammaestramenti. L'uomo, per quanto si senta oppresso dalla sventura, ha una forza in sé stesso da resistere ai più fieri colpi della sorte, e sopportandoli con rassegnata prestanza sarà sempre un oggetto d'ammirazione. Ma non bisogna con tutto ciò scagliarsi contro lo sventurato, che in tutta la lucidezza della sua ragione si toglie la vita per non gemere sotto il flagello della servitù, massime quando intorno a sé non veda più raggio di bene pur lontano che lo conforti. Quello che si applaude con entusiasmo nei più, è lecito e giusto biasimare nell'individuo? Eppure noi restiamo compresi della più alta ammirazione quando leggiamo che una città si seppellisce sotto le rovine delle sue mura anziché cadere in balìa del nemico che viene ad assalirla per toglierle la libertà!

E questi magnanimi esempj di virtù cittadina portano attraverso i secoli i loro frutti, e noi compulsando le antiche e le moderne istorie, facciamo a gara per metterli sotto gli occhi della gioventù, affinché s'inspiri e s'accenda a egregie cose.

Il Cesarotti dice che Le Ultime Lettere di Jacopo Ortis sono «un' opera scritta da un Genio in un accesso di febbre maligna, d'una sublimità micidiale e d'un'eccellenza venefica.» A noi pare invece che siano un libro scritto da un Genio si ma da un Genio che, squarciando le tenebre dell'avvenire, vedeva in lontananza la grandezza d' Italia, e per affrettarne il conseguimento, voleva scuotere con mano rovente gli assonnati suoi figli. Il Foscolo, con la morte dell' Ortis, volle insegnare a' suoi fratelli come a un popolo, dopo avere lottato strenuamente contro i nemici che l'insidiano e lo perseguono a morte, rimanga sempre aperta una via per liberarsi dalla servitù, quando non vede più raggio di pace e di libertà su questa terra. Soggiungeva il Cesarotti di «leggere interrottamente le lettere d'Ortis, perchè aveva bisogno di respirare tratto tratto, per non restare oppresso dal cumulo d'idee, di fantasmi e d'affetti, coi quali gli aveva posto assedio al cuore e allo spi-