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no liberi, e franchi. Il tedio impaziente sa, che per avventura si perda l’occasione di grossa presa d’uccelli, che capitano fuor di tempo, e di speranza. Il cicalare, ridere, romoreggiare ne Roccoli è lo stesso, che sbandire gl’augelli, che per ogni leggiero romore s’allontanano, essendo l’attenzione, ed il silenzio la prima regola dell’uccellagione. Il non udire a tempo l’izzirlare de Tordi, detto in lingua nostra zippare, ò di ferma, ò di passata, ed il canoro vario bisbiglio degl’altri augelli, che travalicano a volo, è mancanza, che non di rado toglie la preda. Il trattenersi a lungo, e fuori di proposito frà le piante del Roccolo, e il non durarla nell’aguato entro al frascato spiando intorno intorno, fà, che sopraggiunta una folata d’uccelli all’improviso, l’Uccellatore non sia opportuno a farla abbassare co’ lo sborratore, onde se ne vada con franchigia esente dalle insidie. È pur necessaria la prestezzza nel riscuotere dalle maglie gli primi uccelli, che vi s’allacciano per farli chiocciare, ò zimbellare, come anche per ischiacciare il capo a qualch’altro, che strida, e si dibatta nella rete, acciò non impauri quelli, che s’aggirano intorno alla frodolenta boscaglia. Debbe pure l’Uccellatore esser pratico d’imitare col suono del zufolo il canto del Tordo in Primavera, come anche con altri zufoletti accordarsi al canto delle Tordine, uccelli, che in guisa del Tordo hanno le


penne