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perchè la musica parlava un linguaggio per lei incomprensibile.

Era una donna nata per essere madre. Dal modo con cui guardava i bambini, da certe sue parole vaghe compresi già nei primi giorni quanto lo desiderasse; più tardi anche me lo disse con una commozione profonda. Io ero troppo giovane per aspirare alle gioie intime della famiglia: altre e ben diverse idee mi frullavano nel cervello. La vita febbrile di Parigi acuiva quell’interna esaltazione fino al parossismo. Avevo assistito ad una prima trionfale al Gymnase; un antico sogno di scrivere per il teatro cominciava a solleticare la mia nascente ambizione, tipi nuovi m’ondeggiavano come fantasmi nel pensiero, e la donna bionda e leggiadra v’appariva con un’insistenza così tormentosa che certi momenti mi pareva perfino di udirne il respiro lieve, d’aspirare il profumo dei suoi capelli d’oro.

Eravamo a Parigi da tre mesi, vivendo in tranquillo accordo, quando Emilia fu còlta da un insolito malessere e il medico mi consigliò di ritornare a villa Subeiras, affinchè la mia sposa potesse condurvi una vita tranquilla e metodica in attesa della sua futura maternità. Ella accolse quella speranza con un trasporto di gioia, e sebbene soffrisse molto, non l’udii mai movere un lamento. Il suo stato destava in me dei sensi di apprensione e di pietà; la consideravo come un essere fragile e sacro affidato alle mie cure, ma