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piacenza per il disinganno della fanciulla non metteva più freno ai loro malvagi sarcasmi.

Il cuoco la chiamava per dileggio «la contessina» e in sua presenza tutti andavano a gara a parlare delle nozze del conte, a comunicarsi i più lievi particolari di quel prossimo avvenimento che sembrava colmarli di gioia.

Addolorata, inasprita, incapace di reggere più oltre a quella doppia tortura, Natalia si recò un giorno nell’appartamento della contessa colla ferma intenzione di licenziarsi, ma giunta in presenza di Donna Clara, non riesci che a balbettare delle frasi incoerenti e vaghe fra cui predominava la parola: partire.

Colpita dal suo aspetto sofferente, dalla pallidezza del suo volto, un giorno così florido di colore, la contessa si commosse un poco e la trattò con benevolenza, ma non seppe dissimularle che la causa di quella sua afflizione le era nota e che si faceva non lieve meraviglia che una semplice leggerezza di suo figlio avesse potuto dar luogo a si strane e ingiustificate illusioni. Finì col chiederle perchè volesse partire, mentre in quella casa tutti la stimavano e le volevano bene.

Un sorriso strano sfiorò le smorte labbra di Natalia che aveva ascoltato tutto quel discorso in attitudine impassibile, senza muovere palpebra, con gli occhi vitrei e sbarrati.

Ella non rispose, soltanto ripetè con voce fievole: — partire, partire...