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V

Amica mia pregiatissima, Or si che voglio scrivervi, e voi me ne apprestate l’opportunitá con quel vostro dolervi delle cose del nostro conte Eduardo; nelle quali per veritá non vi era di veramente difficilissimo se non il primo passo che giá è stato vinto. Che dieci anni! Che mi andate voi raccontando? Dieci mesi, sto per dire, non passeranno, e voi sarete appieno contenta. Cosi l’intende meco la marchesa Caucci, cui so mille gradi e di vero cuore di avermi dato le nuove del conte Fabbri e fatto partecipe delle speranze che si hanno in Roma di vedere di giorno in giorno migliorate le sue condizioni. Ben conoscea la marchesa quanto mi fossero care siffatte nuove: però torno a ringraziarla, e non voglio contraddire il mio cuore, il quale non di rado indovina, e che or crede fondatissime quelle speranze a prò di vostro fratello. E certamente io lo rivedrò, e vieppiú si stringeranno i termini dell’amicizia e della stima, le quali mi legano a lui; quantunque lo avessi veduto per si breve ora. Ma per conoscerlo bastava quell’ora. Che sará dunque allorché mi sia conceduto di essergli piú dappresso e di coltivare insieme gli studi onde voi mi toccate nella vostra lettera? Voi senza dubbio presiederete all’amicizia nostra: e, se i desideri, che assalgono talora il mio spirito, si potessero mandare ad effetto, voi ed egli ed io passeremo alcun tempo in Toscana. Giá vói siete immobile nei propositi vostri, e ad ogni patto volete spiegare a modo vostro il mio mese di giugno. Egli è il vero che il cuor non invecchia: ma che per questo? Superato il quarantesimo anno, dee forse l’uomo rinunziare al suo amor proprio, ed essere si di nuovo da dover ignorare che ad alcuni fatti della vita non basta un cuore solo ed una sola volontá? L’oblio di questa massima conduce al dispregio.