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Leone III (posto in secondo luogo). Mauro, uomo di Castro (capo giá del ducato farfesiano), mentre Monnago era stativo e sculdascio di Castro (Castro adunque nell’813 era cittá longobarda e di Carlo) cita innanzi a Leone III l’abate di Farla ed i monaci, sudditi di Carlo, perché appartenenti a Spoleto; e ciò per dichiararsi nulla quella donazione di cui ho parlato, fatta nel 775 da Aimone, vedovo di Ansetruda dei beni di Viterbo e di Toscanella. Il papa si maneggia per un accomodo: ed era egli assistito dai suoi officiali romani, come il bibliotecario, il vestarario, il nomenclatore, il cubiculario e da due vescovi senza mescolanza di giudici franchi o longobardi. Le due parti litiganti, cioè i due stranieri a Roma ed al suo ducato, transigono innanzi al papa la lite, con una carta non notariale, ma privata. E perché due stranieri vengono in Roma? Non ci sono forse centinaia di stromenti, donde si scorge che i farfensi solevano litigare in Spoleto? Vengono in Roma perché i territori litigiosi erano posti in Viterbo ed in Toscanella: luoghi donati nel 787. Or si vuole una riprova maggiore della donazione del 787, indicata dalla lettera 90 del codice carolino? Che se i due stranieri posero il nome di Carlo prima del nome del papa, ciò avvenne perché, quantunque la transazione si fosse fatta in Roma nel Laterano, pure la loro carta fu privata, né ricevuta da verun notaio: e però in una carta privata posero prima il nome del nativo loro sovrano, e poi quello del sovrano dei territori, ov’erano i beni litigiosi: senza di che anche Carlo nell’813 era consovrano in Viterbo ed in Toscanella. Molte altre bellissime notizie sui costumi del secolo s’imparano da questa carta: per ora io mi contento di osservare, che Castro essendo allora cittá longobarda, le cittá di Carlo intersecavano i territori delle cittá donate nel 787: e che per conseguenza (ma questo ha bisogno di altre ricerche) potè il papa disfarsi volentieri, mercé qualche censo, della sovranitá di Chiusi, di Coana, di Rotelle e di Populonia, come di territori che non facevano continuazione coi suoi. Pel contrario, perché facevano continuazione, ritenne il papa la sovranitá donatagli di Viterbo e di Toscanella e di Bagnorea, incorporandole alla Toscana romana.