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Lettera quarta

Dopo averle mio caro conte inviata quella mia si lunga e disordinata lettera del 17 dicembre, mi è sembrato convenevole di inviarne un’altra per terminare la discussione intorno alle leggi 37 e 74 di Liutprando, innanzi di ricevere la sua risposta e di leggere i nuovi dubbi ch’ella mi potrá fare. Giá le parlai della prima differenza fra quelle due leggi, o, per dir vero, della mia congettura che l’una del i° marzo 727 spettasse al tempo nel quale il re preparavasi ad assalir l’Esarcato, e l’altra del i° marzo 729 o 730 si dovesse riporre nel tempo della giá compita conquista ed anzi prossima ad essere abbandonata. La quale mia congettura sarebbe chiarita se non fosse oscurissima la cronologia dei quattro anni che scorsero dal 726 al 730; per questi ho seguito i computi del Baronio illustrato particolarmente dal de Magistris, e non piú i comuni e divulgati del Muratori. Ma io rinuncio assai volentieri alle congetture le piú lodevoli: ed or mi rivolgo ad un’assai piú sostanziale, assai piú visibile differenza, che passa tra le due leggi; a quella cioè che nella 74 parlasi e di cittadinanza e di legge romana (Lex patris Romani, Romanus homo, Romana ejfecta est), e che nella 37 si favella solo di legge romana, e non di uomini o popoli o cittadini o ingenui romani. Se io dunque dimostrerò (ed è cosi facile il farlo) che i longobardi stessi nel 727 ubbidivano ad una legge romana, io avrò dimostrato che questa cotanto famosa legge 37 non prova punto, come tutti abbiamo creduto, che in quell’anno durasse tuttavia la cittadinanza romana dei discendenti di quei nobiles e potentes Romanorum uccisi o scacciati per cupidigia di Clefi e dei duchi. Pur nell’indagare qual fu la condizione civile di questi discendenti dei romani al tempo e per opera dell’editto di Rotari consiste tutta ed unicamente la nostra disputa e la gran parte della