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latino, era ben lontano dal voler guardare in quelle scritture: obbedissero i vinti e tacessero e pagassero il tributo: del rimanente scrivessero come a loro tornava in grado. E non mi farebbe maraviglia che fino ai tempi di san Gregorio avessero i vinti romani conservati gli «ordini» ovvero le «municipalitá» e gli «atti municipali», cioè i registri: nel qual caso le lettere di san Gregorio Ordini et plebi si spiegherebbero di un’altra maniera. Ed infatti allorché io domando e vado investigando qual fu la condizione civile dei vinti romani, domando solo di sapere qual fu questa condizione agli occhi dei vincitori, e quale per effetto della loro volontá e delle loro leggi. E cosi va proposto veramente il problema: ed io ebbi gran torto di non proporlo a tal modo nella prima lettera ch’ebbi l’onore di scriverle. Ma i romani vinti nel regno longobardo, ed i romani non vinti del ducato romano e dell’Esarcato, perché soli a sapere scrivere, scrivevano e pensavano e speravano di potersi liberare dai longobardi: ove ciò fosse avvenuto il servo sarebbe tornato alla schiavitú se nato schiavo, ed il servo e l’aldio nato ingenuo sarebbero tornati all’ingenuitá romana: e sopratutto gli aidii ovvero «i possessori utili o enfiteuticari di terre» avrebbero ricevuto il pieno dominio di quelle. Perciò l’esarca romano pregava non si devastassero dai franchi le possessioni romane: ciò che risponde al suo settimo dubbio. Perciò san Gregorio avrebbe potuto scrivere Ordini et plebi anche alle cittá longobarde senza che per questo ne risultasse la prova che gli «ordini» e le curie fossero state in piedi fino al suo tempo, cioè fino al 604. Poiché io domanderei, ove si trovassero tali documenti, l’esistenza di questi «ordini» procedeva dalla volontá e dal fatto del vincitore analfabeta, ovvero dal fatto solo, che non prova nulla, del vinto il quale sa scrivere? Supponga ella che nelle prigioni di Africa o di Palestina si fosse ridotta una compagnia di crociati: «Montmorency, Al ehm, d’Estaing, de Nesle et ce fameux Concy» domando io, come costoro scriverebbero le loro carte in prigione? Certamente conservando i loro titoli, ed anche le loro vanitá: e si chiamerebbero «alti e potenti signori» fra i ceppi;