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Lettera seconda

Rispettabilissimo signor conte Uno dei piú lieti giorni, un giorno di festa vera è stato per me quello di sabato scorso, nel quale ho ricevuta la sua lettera del 19 novembre. Si; ella è senza dubbio l’uomo che da lungo tempo io cercava, ed indarno, per potergli parlare a mio senno intorno alla storia d’Italia; ed in fine io l’ho trovato! Con lui si fa gran cammino in poco di ora; ed oggimai mi è permesso di sperare che i miei studi si leghino e si facciano comuni coi suoi: certamente al suo lavoro ed alla sua gloria bisogna prendere la stessa parte che per le cose piú onorevoli e care all’Italia. Ma quali scuse va ella chiedendo? ben io nel suo libro aveva compreso che nella sua coscienza intima ella scorgeva i romani vinti dal longobardo nascondersi sottilmente sotto la parola di aidii: e senza questo avrei forse io avuto l’ardimento di scriverle? A me parve che un solo passo ci avrebbe tosto ravvicinati: e però vengo al fatto nostro senza piú dimorare, se non che prima vorrei abbracciarla e riabbracciarla cento volte per la maniera con la quale io la sento parlare delle virtú del magno Gregorio e delle origini del dominio temporale dei pontefici romani e del vii fine a cui cadde il regno dei longobardi. Ancora io vorrei che ella mi dicesse schiettamente se può concedermi due «postulati?». 1. I «romani» fino a tutto l’ottavo secolo, quantunque nati nella penisola italiana, io desidero che non si chiamino «italiani», come tutto di facciamo: trattavasi allora di tutto l’imperio romano e non della sola Italia: i petti romani palpitavano allora per la speranza di scacciare i barbari si dall’Italia e si da qualunque luogo dianzi soggetto all’imperio: la nostra lingua non per anco si era mostrata con proprio volto e con sue forme particolari. Ora il nostro costume di chiamare italiani