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padrini, egli si mise a gridare: «Canaglia, assassini, sono percosso, assassinato»; li percosse, ferì e chiusili in casa, andò alla pubblica sicurezza a denunciarli come assassini.

Il Ministro della Pubblica Istruzione, preoccupato di questi disordini, invitò il Rettore a convocare i professori dell’Università in assemblea generale perchè si pronunziassero in proposito.

A questa assemblea non solo interviene egli, ma pretende assumerne la presidenza, e nel momento della votazione rovescia calamai, tappeti e libri addosso ai colleghi, e poi gridando: «Ammazzerò tutti», tenta di spegnere i lumi dell’anticamera, sicchè l’assemblea decreta «che sia allontanato un professore, che insulta tutto e tutti, che pubblica libelli la cui violenza non è neppure raggiunta dalla stampa più avventata, che mette il disordine nell’Università e reca onta all’onorato ufficio suo con degradanti umiliazioni, non meno che con spavalderie da pazzo furioso».

Fu deferito al Consiglio Superiore, e, malgrado la sua splendida difesa, fu destituito.

Da quel giorno gettò una valanga d’ingiurie, di minaccie, di ricatti ai giudici, ai Ministri, alle loro mogli, figli, amici - ingiurie spesso prese sul serio - e pur troppo vendicate, come se fossero il parto d’una mente sana, e vendicate così severamente da rivolgere in simpatia il ribrezzo che potevano meritare.

In complesso, questo uomo che si potrebbe dire un vortice animato di liti politiche e personali, riproduce, esattissimamente, il tipo di quel mattoide querulante di cui abbiamo dato la descrizione poco sopra,