Pagina:Trattati del Cinquecento sulla donna, 1913 – BEIC 1949816.djvu/79

ANGOSCIA

la prima furia del mondo

PROEMIO

Non solamente stanco di mirare la donna mia, ma ancora sazio, rivolgeva gli occhi miei ora di qua ed ora di lá, guardando tutto quello che me occorreva, desiando di vedere cosa piú cordiale della mia donna. Perchè, pensando in ella e di lei ragionando, me son ridutto a tanto, che omai non conosco che cosa è riposo o quiete. Anzi son sforzato di fuggire tutte le donne, per l’asprezza della mia donna e li orribili costumi, per strani portamenti, per il parlar superbo, per diversi suoi vani desiri, per li continui moti, per la sua instabilitá, e finalmente per non contentarse mai di quello che io me contento. Perciò credo che mi serebbe piú utile di sorbire una tazza di veneno (come fece Socrate condannato a morte da ateniesi) che pascermi de cibo per vivere sempre con doglia di cuore, e per cagion della donna mia. Ma, se ciò non è lodato oggi, iudico essere meglio a l’uomo de diventare peregrino, overo essere eremita in qualche grotta o farse amico a fere selvagge, per potere abitare fra quelle senza comercio d’alcuna donna, che non è di godere la bellezza di qual vòi donna bellissima. Perchè, subito che averai detto «donna», hai detto tutto il male che si pò dir in una parola, non considerando perciò la donna come cagion della generazione umana: ma in qualunque altro modo la consideri, tu troverai essere la donna un vaso puzzolente, che amorba quanti passano d’appresso; perciò pensate quello che fa, quando l’uomo se accosta a lei. Di sorte, piú e piú giorni andando di pensiero