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204 ii - angoscia doglia e pena



Socrate. Un tutto stanco dir.

Biondo.Son certo che di fuori si legge come io ardo di drento, per gli atti di allegrezza quali in me si vedeno essere spenti; di sorte che ciascuno, vedendomi pensoso andar misurando i passi, facilmente s’accorge della mia tristezza, del mio ramarico e del mio dolore. Percioché, contemplando la sentenzia del savio vecchio, manco di animo, anzi non mi pare essere quello che fui produtto al mondo da li miei parenti; perché di quanto Socrate, ragionando col mio maestro, disse, non mai piú rimasi tanto confuso quanto di questa sentenzia, ché vuole che ’l marito, quasi stanco, dica quel che dice alla sua consorte. Imperò non so se quel «stanco» s’intendesse della persona del marito veramente, overo vuole che ’l s’intenda della pronunzia a guisa di stanco, a modo forse di stracco, ad usanza forse di addolorato; perché il stanco, il stracco e il adolorato sempre ritarda la sua parola, sempre va quasi masticando quello che egli dice, di sorte che, pria che pronunzia la parola, stracca, anzi affastidisce il suo auditore. Nondimeno ciò ancora non mi pare che voglia dire il savio vecchio, perché serebbe piú tosto atto de discordia, di poca satisfazione e quasi un modo de stracciare la sua consorte. Perché, quando il marito ritarda quel che la consorte vuole intendere presto, li pare un stracciar, un beffarsi e non volergli satisfare. Pure nè ciò ancora è quel che intende il vecchio Socrate, perché, avendo ragionato di sopra del fatto della bocca e della lingua, al presente mi pare ch’el voglia concludere il suo ragionamento dicendo: — Un tutto stanco dir. — Cioè che conviene che ’l marito tanto raggioni con la sua consorte, sino a quanto si stracchi raggionando in satisfarli sempre, specialmente che la donna, fra le altre cose, ama la chiachiara, gode di raggionamenti, triumfa di affanni, ancora con la voce li manifesta. Deh, raggionar grato alli concordi! deh, stanca pronunzia, quanto sei grata alli doi unanimi, concordi