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de la bella creanza de le donne 13

con tal destrezza e con tale ingegno, che non si rimanga vituperato appresso de le genti.

Margarita. Di questo ne son certissima, ch’io ho piú fede in voi, sto per dir, che nel Vangelo.

Raffaella. La puoi aver, figliuola mia, chè io vorrei piú presto perdere questo mongile, che non ho altro di buono in questo mondo, che dir cosa che non tornasse in tuo utile ed onore.

Margarita. Or cominciate adunque!

Raffaella. Con questo: che tu mi prometta di starmi a udire quetamente tutto quello che ho in animo di dirti; e, se ben, che nol credo, in qualche cosa io non ti sodisfacessi, per questo non me impedire perfin al fine del mio ragionamento. Da poi sará in tua libertá di fare o non fare, secondo che ti parrá.

Margarita. Oh! se nel vostro ragionar mi nascesse qualche dubbio, non volete voi che io possa dimandarvi liberamente di quanto mi occorre?

Raffaella. Questo sí, purchè tu m’ascolti amorevolmente tutte quelle cose ch’io vorrò dire.

Margarita. Cosí vi prometto.

Raffaella. Da’ qua la mano.

Margarita. Eccovela. Or dite.

Raffaella. Mi par cosí vedere che, nel mezzo de’ nostri ragionamenti verrá il tuo marito o qualche uno altro, e romperacci ogni nostro disegno.

Margarita. Non è ora da venirci nissuno. E di mio marito non ci è pericolo, chè egli ha due mesí che egli andò in Val d’Ambra a riscuoter non so che grano e denari, e non è ancor tornato.

Raffaella. Come! Due mesi! E tanto tempo per volta ti lassa sola in cosí bel fiore de la tua etá?

Margarita. Eh, Dio! Questo è un zuccaro! Vi posso giurare che da due anni in qua, che io venni a marito, non è stato, accozzando tutte le volte, quattro mesi intieri con esso me.

Raffaella. Oimè! Oimè! Che me dici? Che tradimento è questo? Io me teneva per certo, vedendoti star sempre in casa,