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vi farei conoscere che ne avereste la maggiore e miglior parte; ché, nel vero, troppo picciolo stato e troppo grand’animo la fortuna e la natura m’hanno dato. Ma anco di questo onore il meglio e ’l piú voglio che vostro sia, e di colui che sopra ogn’altro del mondo riverisco ed inchino. Perché, avend’io della bellezza umana e divina a ragionare, cosa che l’altrieri incominciai a questi altri signori, ed essendone da altri largamente stato parlato e scritto, e sperando oggi ampiamente discorrere sopra molte cose a pena da altri tócche, intendo di esservi recitatrice, per lo piú, di quanto spetterá alla cognizione della vera bellezza, di un ragionamento che meco, questo verno passato, ebbe il mirabile e solo lume dell’etá nostra signor Anibai Caro, il quale, nel ritorno suo di Francia per qui passando, volle per una sera favorirmi della domestica e grata sua conversazione, onde per sempre me gli conoscerò del favore obligatissima. Ed in quanto mi serverá la memoria, com’egli allora mi formò la vera bellezza, cosí ora a voi farò per ispiegarla. Aggiungendovi che, se nulla di buono sono per dirvi, tutto da lui il riceviate, e se, per Io contrario, non penetrerò nel vero, alla debolezza del mio ingegno sia attribuito il mancamento; perché ei, non altro che cose sopra umane investigando, non formò d’altro che di bellezze celesti i suoi documenti, i quali malamente sono atta a spiegare. E se l’altro giorno mostrai da me di ciò voler parlare, fu che non mi parve a proposito dire questo non essere stato studio mio; ma ora, che ci sono questi rari intelletti, non voglio e non debbo attribuirmi prosontuosamente l’altrui.

Capello. Ora si che doppia attenzione vi sará prestata. Ed io, che di questo ragionamento dal virtuossisimo e raro signor Lodovico Domenichi, il quale a questi bagni in quel tempo si trovava, ebbi sentore, sempre poi, oltre lo stimolo delle virtú vostre, ché mi pungeva di conoscervi, ogn’ora m’è partita un secolo di ritrovarmi a fronte con voi, per impetrar grazia di udire cosí dotto e misterioso discorso, il quale non può essere che singolarissimo e divino, perché egli è quel solo Socrate e quel solo Platone che oggidí a noi è rimasto. Onde, senza chiederla, essendomi da voi donata questa grazia, tanto piú sarò