Pagina:Tragedie di Sofocle (Romagnoli) III.djvu/141

138 SOFOCLE 392-416

l’amor furtivo, un piccolo pretesto
colse, e contro la patria di costei
mosse, dove il suo trono Eurito, come
disse l’araldo, possedeva; e al padre
di lei die’ morte, ed espugnò la rocca.
Ed ora giunge alla sua casa, e manda
la fanciulla, non già senza disegno,
né come schiava: a questo, oh!, non attenderti:
verisimil non è, quando egli caldo
tanto è d’amore. Ed a me parve bene
quanto io so da costui, tutto. Signora,
svelarti. E molti dei Trachinii udirono
in piazza, al par di me: sicché, negarlo
ei non potrà. Ciò ch’io dico, piacevole
non è, né me ne allegro: eppure è il vero.
DEIANIRA
Oh me tapina, in qual cimento io sono!
Qual furtivo cordoglio in casa accolsi!
Oh me misera! Oscura quella femmina
era, come giurò chi qui l’addusse?
VECCHIO
Fin troppo illustre, e di nome, e di stirpe.
Era d’Eurito figlia, almeno un tempo;
e Iole il nome suo. Ma quei la nascita
mai non ne disse, e mai non fece indagini.
CORIFEA
Alla malora i tristi! Oh, non già tutti,
ma chi furtivo e impronto il male esercita.