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gridò che schiavo egli era, e un uomo libero
lo malmenava, ed al banchetto, quando
fu ebbro, lo scacciò via dalla casa.
Perciò, salito in ira, allor che al clivo
Tirinzio, Ifito giunse, alla ricerca
dell’errabonde sue cavalle, mentre
gli occhi e il pensiero avea rivolti altrove,
giù lo scagliò dalla turrita spiaggia.
Per tal misfatto irato, il Nume Olimpio
Giove, padre di tutti, a lui perdono
non concedette, e schiavo lo fe’ vendere,
ché primo questo fra i nemici ucciso
avea di frode: se l’avesse ucciso
a viso aperto, ben l’avrebbe assolto
che la giustizia di sua man compiesse:
ché tracotanza anche i Celesti aborrono.
Quelli che vanto, con maligna lingua
menavan, dunque, abitatori tutti
sono or d’Averno, e schiava è la città;
e queste donne che tu vedi, ch’erano
felici un tempo, ed ora han vita misera,
vengono a te: questo comando diede
lo sposo tuo: fedele a lui, lo eseguo.
Ed egli stesso, allor che pure vittime
offerte avrà per la città conquisa
a Giove patrio, sappilo, verrà.
Di tante cose ch’ho pur dette, e belle,
la più dolce ad udire, è certo questa.
CORIFEA
Palese gioia a te, regina, giunse
per quanto innanzi t’è, per quanto ascolti.