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SOFOCLE xxvii

bensí, o isolato e pittoresco, o convertito in battute drammatiche.

E da nessun dramma di Sofocle usciamo cosí profondamente turbati come da una tragedia di Eschilo. In Eschilo, infatti, quel grande alone cosmico onde appare avviluppato il dramma — alpi inaccesse, flutti che si stendono all’orizzonte, per attingere il cielo, stelle che roteano in sempiterni concilî — lasciano l’animo nostro misero e smarrito nella immensità muta dell'universo. Il profetico mormorio del coro che s insinua in ogni latebra degli eventi, ci rammemora che quella immensità è piena d’invisibili spiriti, potentissimi e terribili.

Ma in Sofocle, sobrie pitture, scene umane, sfondi agresti, conclusi in linee calme serene, distraggono l’animo dall’orrore dei fatti tragici, gli concedono altrettanti momenti di pausa e di calma, mostrandogli, come un’oasi lontana, fra gl’interstizi di orride vicende, il tranquillo sorriso della immutabile natura. I vari momenti delle sue tragedie si svolgono l’uno dopo l’altro, recando ciascuno il suo martirio, sino ad uno spaventevole culmine; poi declinano. l’ultimo appare, trascorre, dilegua, è già perduto nel tempo, che tutto consuma.

Noi distogliamo allora, leviamo in alto gli occhi pieni d’orrore. Il cielo inarca tuttora sulla nostra fronte l’azzurro sereno, le foreste stormiscono, le rondini garriscono a volo. Il sole S’immerge, le montagne sfumano in un vapore d’ametista, e il cielo effonde sovra esse, come una immensa raggiera, la irradiazione dell’ultimo saluto.

Scende la sera. Noi ci affissiamo al prodigioso miraggio, e sentiamo l’animo nostro ricomporsi e placarsi in una purificazione di luce.