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elettra
Volge la parola al cadavere di Egisto.

E sia. Ma quali delle ingiurie debbo
dirti in principio, quali in fine, e quali
nel mezzo dei discorso? Eppure, ogni alba
mormoravo fra me — dimenticato
mai non l’ho — quello che t’avrei pur detto
a faccia a faccia, ove un dí fossi libera
dagli antichi terrori. Ora ci siamo:
le contumelie, che da vivo dirti
voluto avrei, riceverai da morto.
Tu m’hai distrutta, ed orfana del padre
me rendesti e costui, che fatto ingiuria
non t’avevamo, e turpemente sposo
fosti a mia madre, e uccidesti lo sposo
suo, che guidati aveva in Frigia gli Èlleni,
e tu non c’eri. E a tal follia giungesti
poi, che, sposata mia madre, credesti
che non sarebbe una compagna trista
per te, mentre insozzato avevi il letto
pur di mio padre. Oh, sappia, chi sedusse
l’altrui consorte nei furtivi amplessi,
ed a sposarla è poi costretto: povero
lui, se s’illude, che serbi con lui
quell’onestà che non serbò con l’altro.
Miserrima era la tua vita, e tu
non la credevi misera. Sapevi
che un’empia sposa era la tua: mia madre
sapeva che il suo sposo era un sacrilego:
entrambi tristi, dissimulavate
essa la tua tristizia, e tu la sua.
E correva per tutta Argo una voce: