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IFIGENIA IN TAURIDE 311

sappi che già, per grazia mia, Posídone
sopra il dorso del mare i flutti spiana,
ché vi navighi il legno. Oreste, e tu
ascolta — ché ti giunge, anche da lungi
la voce della Dea — ciò ch’io t’impongo.
Tieni sorella e simulacro, e parti,
e récati ad Atena, opra dei Numi.
Quivi, d’Attica agli ultimi confini,
presso il giogo caristio, è un luogo sacro:
col nome d’Ala il popol mio l’appella.
Qui fonda un tempio, ponivi l’immagine,
e il nome suo, la Tauride ricordi,
e le tue pene, che soffristi, errando,
dall’Erinni incalzato, in tutta l’Ellade.
E d’indi innanzi, Artèmide Tauròpola
la chiameranno gli uomini. E tal rito
istituisci. Allor che a festa il popolo
si aduni, un ferro, a riscattar la strage
tua, come vuole pïetà, s’appressi
alla gola d’un uomo, e ne zampilli
sangue, si che la Diva onore n’abbia.
E tu ministra, Ifigenía, sarai
presso le sante braüronie scale
di questa Diva; e lí sarai sepolta
dopo la morte; e fregio alla tua tomba,
avrai di pepli, dei tessuti belli
che lasceranno quante donne rendano
l’alma nei parti. E queste donne d’Ellade
libere dalla tua barbara terra
rimanda, come vuol giustizia. E te,
Oreste, io già salvai, quando sul colle
di Marte i voti pareggiai per te,
e l’uso resterà che assolto vada