Pagina:Tragedie di Euripide (Romagnoli) III.djvu/111

108 EURIPIDE

e fra le mura d’Argo, e nella rocca
dei Ciclopi abitar volle, donde io
bandito fui, ch’Elettrïone uccisi.
E per lenir la pena mia, per brama
d’abitar la sua patria, in gran compenso,
offerse ad Euristèo, di sterminare
le belve della sua terra, o sia ch’Era
spingesse coi suoi pungoli, o sia
l’impulso del destino. Or, poiché tutte
l’altre fatiche ebbe compiute, in ultimo
dalle Tenarie foci all’Ade scese,
per condurre alla luce il can dai tre
corpi; e di là non è tornato ancora.
Un’antica leggenda è fra i Cadmèi,
che a tempi andati, un certo Lico, sposo
di Dirce, fu signor di Tebe e delle
sue sette torri, pria che vi regnassero
Anfíone e Zeto, i due figli di Giove
dai candidi puledri. Un suo figliuolo,
ch’à lo stesso suo nome, e non tebano,
ma venuto d’Eubèa, piombò su Tebe,
mentre a mal di fazioni essa era in preda,
Creonte uccise, ed or la terra impera.
Onde ora, sembra, è mal grande per noi
il parentado con Creonte stretto;
perché, mentre mio figlio è nelle viscere
della terra, il signor nuovo di questa
contrada, Lico, i figli vuole uccidere
d’Ercole, e, per lavar sangue con sangue,
uccidere la sposa, e me, se pure
tuttora annoverar convien fra gli uomini
me, disutile vecchio, affin che i pargoli,
un giorno, divenuti uomini, il sangue