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LE FENICIE 289


avea d’insegne tracotanti, ma
senza insegne, da saggio. — Movea contro
le porte Ogígie il Sire Ippomedónte.
Nel mezzo dello scudo ha per insegna
Argo trapunto d’occhi, onniveggente,
le cui pupille, alcune spíano il sorgere
degli astri, e al loro occaso altre si abbassano;
e conservò la vista anche da morto. —
Alle porte Omolèe presso, le genti
schiera Tidèo, ch’à sullo scudo un vello
di leon, dalla giubba orrida tutta.
Come il Titano Prometèo, nel pugno,
per bruciar la città, stringe una fiaccola. —
Il tuo figliuolo Poliníce, guida
le schiere contro le porte di Crene.
Sopra il suo scudo le Potníadi22 corrono
puledre in corsa, esterrefatte bàlzano,
sopra non so che perni ascosi girano,
all’umbone d’intorno, e par che infurino. —
Capanèo guida, che non men di Marte
nella pugna presume, i suoi guerrieri
contro la porta Elettra. A lui scolpito
nel ferreo dorso dello scudo sta
un gigante, che porta sopra gli omeri,
con le leve divelta, una città:
della sorte di Tebe a noi presagio. —
Alla settima porta era schierato
Adrasto: a lui lo scudo empieano cento
vipere impresse, e col sinistro braccio
l’idre reggeva, onde Argo insuperbisce.
E con le fauci, di mezzo alla rocca,
i figli dei Cadmèi rapian quei draghi. —

Euripide - Tragedie, II - 19