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LE FENICIE 233

sazïare potrà?
O figlio mio, per la paterna ingiuria
orbi lasciasti i tuoi paterni Lari,
profugo errasti sopra estranee glebe,
bramato dai tuoi cari,
e bramato da Tebe.
Perciò recido questo crin bianco,
a calde lagrime sfogo gli affanni,
gitto le vesti candide, e al fianco
cingo questi atri funerei panni.
E nella casa, orbo degli occhi, il vecchio
che brama nutre lagrimosa eterna
della coppia fraterna
che la casa lasciò, sopra il suo brando,
per trafiggersi il petto,
s’avventa, sopra il laccio
stretto al colmo del tetto.
Ed ai figli imprecando,
nel buio che lo fascia,
leva querele ed ululi d’ambascia.
Figlio, e di te mi dicono
che nuzïali nodi
ti stringono, e del talamo
lecite gioie godi
in estranei Lari,
ed estranei parenti a te son cari.
Ma per tua madre queste
nozze, per Laio, l’avolo
remoto, son funeste.
Non io, com’è costume
delle madri felici, accesi il raggio
per te del sacro lume.