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— Nossignore, è partita.

— Partita! E... col signor Gustavo?

— No; il signore dorme; ho l’ordine di rimaner qui finchè si desti.

Entrai precipitosamente in sala. Gustavo infatti era steso sul divano e stava svegliandosi. Sbarrò gli occhi meravigliati; mi osservò ben bene; si guardò intorno come per assicurarsi del luogo in cui si trovava, poi finalmente disse:

— E Vittoria?

— Ebbene, gli risposi, dov’è andata Vittoria?

— Mi ha perdonato! sclamò con accento di beatitudine.

— Ti ha perdonato, ne ero certo. Ma perchè è partita?

— Partita? gridò balzando in piedi tutto sgomento. Ma che! È impossibile.

Io cominciavo a presentire qualche guaio.

— Via, calmati, dissi, e raccontami un po’ com’è andata la tua visita, come ti ha ricevuto, e come s’è fatta la pace.

— Ecco. La trovai triste, sai; ma triste! Il suo sguardo mi faceva male. Tuttavia avevo tanti torti; era giusto che mi tenesse un po’ il broncio; non poteva dimenticarli così subito. Io le domandai:

— Siete molto in collera, Vittoria?