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nuto unito per tre settimane ad una creatura indegna di occupare un'ora della vita d'un galantuomo.

— Pensai con angoscia a Clelia. Povera gioia! Erano tre lunghe settimane che l'avevo lasciata, e non le avevo scritto una parola. Mi rammentai con indicibile spavento la sua estrema sensibilità, la sua salute delicata. «Se l'avessi fatta ammalare? Mio Dio!»

— Forse m'aveva scritto?

— Corsi alla posta. Vi trovai infatti due lettere ferme in posta, perchè non le avevo mandato il mio indirizzo. Una aveva la data di pochi giorni dopo la mia partenza. Clelia era già inquietissima del mio silenzio; mi pregava di scriverle; era tormentata da presentimenti dolorosi e strani. Quelle fibre tanto delicate e nervose, presentono vagamente il male che noi facciamo loro, mentre noi, nature meno squisite, lo comprendiamo appena quando ne vediamo le conseguenze irreparabili.

— L'altra lettera era scritta soltanto da quattro giorni. Erano poche parole. Clelia era ammalata; l'agitazione, l'incertezza in cui l'avevo lasciata, avevano abbattute le sue poche forze. Le era tornata la febbre, e si sentiva debolissima. Ma aveva sempre fede in me. E mi pregava di tornare, di