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quelle passioni frementi, quelle tirate retoriche lo avevano esasperato.

«Egli non aveva mai conosciuto nessuno, in ottantun’anni di vita, che parlasse a quel modo. Quegli uomini e quelle donne sempre furibondi, che ammazzavano e si facevano ammazzare come se si fossero fatto strappare un dente, che vivevano sempre nelle nubi, gli parevano matti; gli davano le vertigini.

Appena noi ragazze eravamo tornate di collegio aveva messo l’Alfieri sotto chiave.

— Se leggono questa roba, addio lista del bucato, diceva; addio note della spesa; addio testa! Si mettono in mente di sposare un eroe e non si maritano più.

Rimaneva il Goldoni. L’autore positivo e vero delle scene casalinghe, dai pettegolezzi borghesi, dagli amori tranquilli. Ed ogni volta che sentiva il bisogno di darci una distrazione per quelle benedette sere d’inverno, era sempre il suo ritornello:

— Leggete una commedia di Goldoni.

Le avevamo lette tutte, rilette, ri-rilette; le sapevamo a memoria, le avevamo talmente negli orecchi, che per gioco i miei fratelli ed io parlavamo qualche volta per ore intere in versi martelliani (che le nove Muse ce li perdonino!) ma le sillabe e le rime tornavano sempre.