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straziato il cuore con una lunga malattia, non è fatta per mettermi di buon umore.

— Ma dove la vedi questa prospettiva? domandò il medico; t'assicuro che sei forte, che stai benissimo.

Marco mostrò parecchi trattati di medicina che aveva sulla scrivania, e che da qualche tempo erano diventati i suoi libri prediletti, e disse:

— Questi sono più sinceri di lei, dottore; mi dicono la verità che lei vorrebbe nascondermi, e mi fanno bene, perchè mi preparano all'avvenire che mi aspetta.

Il dottore si trattenne a lungo a discorrere con lui; gli espose minutamente il suo stato di salute, la sua costituzione, quali gli risultavano dalle ripetute visite, precisamente come avrebbe fatto con un collega chiamato in consulto. Ma Marco gli rispondeva colla solita ragione del male ereditario. Quell'idea gli si era fitta in mente con una forza spaventosa, e gl'impediva di apprezzare qualsiasi argomento in contrario.

I giorni passarono, venne il gennaio, cominciarono le feste del carnevale, e Marco continuava a stare in casa come un convalescente.

Quando gli dicevano di uscire rispondeva che faceva freddo, che il tempo era umido, e rimaneva per lunghe ore immobile nella poltrona, e guardava fuori dalla finestra con certi occhi da moribondo che saluta la luce, che faceva veramente pietà.

Il medico cominciò a mettersi in pensiero seriamente.