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TERZO 1961 più furono esse trattate con sottigliezze scolastiche, e l autorità di Aristotele più che la retta ragione ne fu la norma e la regola, sicchè il trovare una parola di quel filosofo favorevole alla loro opinione pareva loro lo stesso che riportare un solenne trionfo su loro avversarii. Con tutto ciò, non può negarsi ancora che il caldo delle contese giovò non poco a spronare c ad accendere gl’ ingegni italiani, e che il timore di esser vinti, e la speranza di superare i loro rivali, gl’ indusse a sostenere grandi fatiche, a svolgere e ad esaminare i migliori maestri dell’ al te e i più perfetti modelli di poesia, e a render così a’ lor posteri assai più agevole quella vita ch’essi avean trovata tanto intralciata. LXXV. L'ultima pruova del vivissimo ardore degl Italiani nel promuover gli studi della poesia sono i diversi tentativi da molti fatti per renderla quanto al suono del verso sempre più armoniosa e più dolce: tentativi che non ebbero felice effetto, poichè la sperienza fece conoscere che in ciò erano sì ben riusciti i primi ‘ padri della volgar poesia, che il volersi da lor discostare, era lo stesso che il gittarsi fuori del buon sentiero. Questi sforzi però non debbonsi ommettere a questo luogo, perchè essi dimostrano quanto fosse l impegno e la gara de nostri nelraggiugnere se fosse stato possibile, nuovi vezzi e nuovi ornamenti alla lor poesia. Della maggior parte di essi abbiam già fatta incidentemente menzione in questo capo medesimo, o altrove, come de’ versi di dodici sillabe, ne’ quali Alessandro de Pazzi scrisse la sua Didone, di que’ Tiuaboscui, Eoi AIL 5i