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la composizione dei «caratteri»

le quali descrivono l’ambiente famigliare in che il giovane è allevato ed educato: «Si forma all’incirca cosî, perché, talvolta, egli è figlio di un brav’uomo, il quale abita in uno Stato non bene governato, e però rifugge dalle cariche e dagli onori e dai processi e da altre noie del genere, e desidera farsi piccolo per non aver seccature. Ed egli, il figliuolo, si forma quando comincia a sentir le querimonie della mamma, che si duole che suo marito non sia tra i governanti e d’esser lei considerata assai meno delle altre signore e di veder lui curar troppo poco il benessere della famiglia e non litigar mai nei tribunali, neppur se riceva affronto pubblico o privato, ma prender tutto in santa pace e badar sempre a’ fatti suoi, e verso di lei mostrarsi pressoché indifferente, sí che lei ne prova dolore, e perciò dice al figlio che suo padre non è un uomo, ma è troppo fiacco, e poi aggiunge tante altre cose di quelle che le donne sogliono cantare sul conto dei propri mariti».

La descrizione dell’ambizioso, di come esso si formi e dell’ambiente in che vive, è anche stilisticamente cosí efficace e vivace che a me sembra la progenitrice diretta dei «Caratteri» di Teofrasto. Piú che ad Aristotele, a quei varii luoghi dell’«Etica nicomachea» spesse volte citati dagli studiosi, e segnatamente del quarto libro, preferisco richiamarmi a Platone, a questo Platone dell’ottavo e nono libro della «Repubblica»; e confesso perciò che non so capire come mai e perché quei filologi che si sono occupati con tanto interesse, anche di recente, dei «Caratteri» di Teofrasto, e che hanno con molta dottrina discusso intorno alle origini filosofiche o retoriche dell’operetta teofrastea, abbiano tutti dimenticato che Platone è descrittore di caratteri anche piú acuto e piú limpido di Teofrasto. L’ultimo periodo della descrizione dell’ambizioso, lí dove Platone rappresenta con agilità franca e piacente di spirito le circostanze e condizioni famigliari che concorrono a formare il carattere dell’ambizioso, esso è cosí vario e immaginoso nel dettato che certamente dev’esser sembrato a Teofrasto in tutto degno di imitazione. Chi poi ne osservi la struttura sintattica e il vocabolario intinto qua e là di frasi e locuzioni della lingua parlata, e pertanto consideri come Platone siasi abbandonato alle sue proprie facoltà di artista con la sola


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