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canto ottavo 151


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     Volea l’orbo seguir, come dolente
tornò la diva a la sua bella sfera;
se non che lo mirò di sdegno ardente
Renoppia, e in voce minacciosa e altera,
— Accecato de gli occhi e de la mente,
brutta effigie, gli disse, anima nera,
va’, canta a le puttane infami e sciocche
queste tue vergognose filastrocche,
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     E se vuoi ch’io t’ascolti e che il tuo canto
ritrovi adito piú per queste porte,
cantami di Zenobia il pregio e ’l vanto
o di Lucrezia l’onorata morte. —
Il cieco allor stette sospeso alquanto;
poscia in tuono di guerra assai piú forte
l’amor di Sesto e gli empii spirti ardenti
incominciò a cantar con questi accenti:
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     — Il re superbo de’ romani eroi
a la regia di Turno il campo avea,
e con fanti e cavalli e servi e buoi
di trinciere e di fosse ei la cingea,
Eran con lui tutti i figlioli suoi:
e quivi si mangiava e si bevea
con gusto tal, che il dí di san Martino
bebbero in sette un carratel di vino.
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     Finito il vin, nacque fra lor contesa
chi avesse moglie piú pudica a lato:
e perch’ognun volea per la difesa
combatter de la sua ne lo steccato,
per diffinir la strana lite accesa,
di consenso comun fu terminato
di montar su le poste allora allora,
e andarsene a chiarir senza dimora.