Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/33


ATTO PRIMO 29

Ov’è l’util misura angusta e scarsa,
Od in quell’altre, ch ’l diletto accoppia,
Molto (ch’io già negar non voglio, o posso)
In animo gentil grave diventa,
Tra grandezza di scettri e di corone,
E tra ’l rigor di quelle sante leggi,
Che la vera amicizia altrui prescrisse.
Error di Cavalier, di Re, d’amico
Contra sì nobil Cavaliero, e Re,
Contra amico sì caro, e sì fedele,
Fu questo vostro; e dee chiamarsi errore,
O se volete pur, peccato, o colpa,
O d’ardente desio, di cieco e folle
Amor si dica impetuoso affetto,
Nome di scelleraggine ei non merta.
Lunge, per Dio, Signor, sia lunge, e scevro
Da quest’opra, e da voi titolo indegno.
Non soggiacete a non dovuto incarco;
Che s’uom non dee di falsa laude ornarsi,
Non dee gravarsi ancor di falso biasmo.
Non sete, no, la passion v’accieca,
O traditore, o scellerato, od empio.
Scellerato è colui, se dritto estimo,
Che la nostra ragion, divina parte,
E del Ciel prezíoso e caro dono,
Dalla natura sua travolge, e torce,
Come si svolge il rio dal proprio corso,
E la piega nel male, e la trabocca,
Ed incontra al voler di chi la diede,
Guida all’opre la fa malvagie, ed empie
Precipitando; e ’l precipizio è fraude.
Ma chi senza fermar falso consiglio
Di perversa ragion trascorre a forza