Pagina:Tasso, Torquato - Il Re Torrismondo, Pisa, 1821.djvu/141


ATTO PRIMO 137
Nè dopo, che moriro i padri nostri,

E ch’alla cura de’ paterni regni
Richiamati ambo fummo, i dolci officj
Cessàr dell’amicizia: ma disgiunti
Di luogo, più che mai di core uniti,
Cogliemmo anco di lei frutti soavi.
Misero! or vengo a quel, che mi tormenta.
Questo mio caro, e valoroso amico,
Pria che a lui fesse elezione, e sorte,
Me dell’armi compagno, e degli errori,
Mentre ei sol giva sconosciuto attorno,
Trasse in Suezia all’onorata fama
D’un torneamento, ond’ebbe poscia il pregio.
Ivi in sì forte punto agli occhi suoi
Si dimostrò la fanciulletta Alvida,
Che nella prima vista egli sentissi
L’alma avvampar d’inestinguibil fiamma.
E bench’egli potesse far, ch’in guisa
Favilla del suo ardor fuor tralucesse,
Che dagli occhi di lei fosse veduta,
Perch’essa più del tempo in casta cella
Era guardata dalla madre allora,
Quasi in chiuso giardin vergine rosa;
Nondimen pur nudrì nel core il foco
Di memoria viepiù, che di speranza:
Nè lunghezza di tempo, o di cammino,
Nè rischio, nè disagio, nè fatica,
Nè il veder nuovi regni, e nuove genti,
Piagge, monti, foreste, e fiumi, e mari,
Nè di nuova beltà nuova vaghezza,
Nè, s’altro è, che d’Amor la face estingua,
Intepidiro i suo’ amorosi incendj;
Ma qual prima gli corse ardente al core
L’immagine di lei, tal vi rimase.
Delle fatiche sue solo ristoro
Era il parlar di lei meco talvolta;
Talor tra sè medesmo: ed involava
Le dolci ore del sonno alla quíete,
Per darle a’ suoi pensier, che sempre desti
Tenea nell’alma il vigilante Amore.
Così de’ suoi pensieri, e de’ suoi detti
Esca facendo al suo gradito foco,
Che quasi face allo spirar de’ venti