Pagina:Tasso, Torquato – Rinaldo, 1936 – BEIC 1934643.djvu/296

292

APPENDICE

H ( 23 )

Al suon di queste voci arde lo sdegno, e cresce in lui quasi commossa face: né capendo nel còr gonfiato, e pregno per gli occhi n’esce, e per la lingua audace.

Ciò che di reprensibile, e d’indegno crede in Ubaldo, a suo disnor non tace. Superbo e vano il finge, e ’l [suo] valore pazza temeritá chiama, e furore.

12 (24)

E quanto di magnanimo e d’altero e d’eccelso e sublime in lui risplende, tutto (adombrando con mal’arti il vero) pur come vizio sia biasma, e riprende.

E ne ragiona si che ’l cavaliero, emulo suo, pubblico il suon n’intende: né però si raccheta, o si raffrena il cieco impeto in lui, ch’a morte il mena.

13 (25)

Che ’l reo demón che la sua lingua move di spirto in vece, e forma ogni suo detto, fa che Tonte e gli oltraggi ognor rinove, esca aggiungendo a Tinfiammato petto.

Luogo è nel campo assai capace, dove s’aduna sempre un bel drappello eletto: e quivi insieme in torneamenti e ’n lotte rendon le membra vigorose, e dotte.

14 (26)

Or quivi allor che v’è turba piú folta, pur (coni’è suo destino) Ubaldo accusa e quasi acuto strale in lui rivolta la lingua del velen d’Averno infusa.

Et è vicino Ubaldo, e i detti ascolta,

né puote Tira ornai tener piú chiusa:

ma: — Menti, — grida; e adosso a lui si spinge,

e nudo ne la destra il ferro stringe.