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solo i suoi pasti nella cucina ampia come una sala da ballo, ove, durante l'inverno il fuoco ar deva perenne nel camino ciclopico, e dove, du rante l'estate, si lasciava spalancato lo sportello della botola, aperta in un angolo e conducente nella cantina, acciocché l'aria gelida salisse di sotterra a diffondere un po' di frescura.

Chiamata da Plora, una contadina portò dalla casa colonica il pasto, consistente in una zup piera di brodo e in una gallina allessata, che il conte divorò in silenzio, quasi rabbiosamente, scalcando il volatile con le mani e scarnifican done la carcassa coi denti tuttavia bene infissi.

Flora, immobile dietro la seggiola del nonno, lo serviva attenta, gli affettava il pane, gli me sceva il vino, vigilava che il grosso gatto nero, agile e astuto, non saltasse sul tavolo per rapire una porzione di cibo dalle mani tremanti del vecchio.

Germano, dall'altro lato della tavola, guardava e pensava quanto dovesse trascorrere lenta e misera l'esistenza giovanile di Flora, legata a quella senilità, egoista e dispotica adesso nella sua imbecille passività, anche più di quando il conte faceva tutti tremare e tutto piegare sotto l'energia del suo comando.

--- E tu non mangi? — domandò Germano. — Sì, più tardi — ella rispose. — E che cosa mangi? — Quello che capita. Due uova, un po' d'in salata, la minestra dei contadini, dèi pane asciutto se è necessario. Per me fa lo stesso. L'im portante è che il nonno abbia ogni giorno il suo pollo ed il suo vino — e poiché del pollo giaceva ·oramai nel piatto solo il residuo degli ossi e